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Storia della “tazzulella ‘e cafè”

1 Marzo 2019 Storia della “tazzulella ‘e cafè”

Un chicco, mille storie: poche bevande sono state protagoniste nei secoli di una fascinazione talmente intensa e longeva. Lungo o ristretto, nero o macchiato, deca o moccaccino, cuccuma o moka: signore e signori, il caffè.

Il “vino d’Arabia”, secondo i suoi primi scopritori; la “bevanda del demonio” secondo la Chiesa; un’abitudine irrinunciabile, secondo molti di noi. Stiamo parlando del caffè, intramontabile infuso di piacere che sa renderci più attivi, loquaci ed efficienti lasciandoci dopo l’ultimo sorso quel dolcissimo amaro in bocca. Ma noi, il caffè, lo conosciamo davvero?

SEGNI PARTICOLARI: BUONISSIMO
La carta d’identità della Coffea arabica, da cui si raccolgono i pregiati chicchi, sembra collocare le prime piantagioni in Etiopia, più precisamente nella zona di Caffa (da cui il nome). Da lì, a partire dal XII secolo, la bevanda attraversa lo Yemen, sbarca alla Mecca e – già amatissimo – approda al Cairo, che nel XVI secolo è il maggior centro di esportazione del nostro caffè. Il segreto per una diffusione talmente endemica? I divieti della religione islamica, che toglieva ai fedeli il piacere del vino ma nulla specificava su altre delizie liquide…

“CI PRENDIAMO UN CAFFÈ?”
È da questa domanda di rito, onnipresente ancora oggi specie nel nostro meridione, che bisogna partire per affrontare la storia europea del caffè. Una volta sbarcato a Venezia, infatti, il chicco magico sparse rapidamente la propria influenza in tutta Europa, tanto da scatenare in meno di un secolo rocambolesche guerre commerciali che videro contrapposte soprattutto Olanda e Francia con le rispettive, sconfinate aree di influenza. Quello che ci interessa maggiormente, però, è la funzione del caffè, che da semplice piacere estemporaneo – grazie alla sua capacità anche figurata di “tenere sveglio” il cervello – divenne rapidamente mezzo e pretesto per confrontarsi, dibattere, persino cospirare: non è un caso che, nel 1676, il procuratore generale di Londra arrivasse persino a chiudere le fortunate “coffee houses”, presenti sin dal mondo arabo e diffusesi poi a macchia d’olio, perché considerate covi di potenziali insurrezioni. Ma i caffè furono anche letterari, come il parigino Café La Procope, peraltro fondato da un siciliano; e Il Caffè fu addirittura il nome che l’illuminista Pietro Verri diede nel 1764 alla propria seminale pubblicazione di filosofia.

E LA STORIA CONTINUA
Quasi mille anni dopo, il caffè continua a fare proseliti: dribblate le ansie “demoniache” dei cardinali del tempo, stroncata l’accusa ben più contemporanea di essere potenzialmente cancerogeno, il chicco più famoso al mondo mantiene l’invidiabile secondo posto tra le bevande più diffuse (più famoso di lui, soltanto l’acqua). Oltre un miliardo e mezzo di caffè al giorno nel mondo, con Canada e USA in testa e, per quanto riguarda l’Europa, il Nord a spadroneggiare: ahinoi, i caffè lunghi che finlandesi, norvegesi e islandesi scolano a decine battono di molte lunghezze le nostre due o tre tazzine quotidiane. Ma, di certo, quando si parla di caffè, l’Italia mantiene il primato del gusto: bando alle cialde, il Belpaese è la patria non solo della classica moka e della mitica “cuccuma” napoletana, ma anche dell’impareggiabile espresso da bar.

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